Il corteo dei lavoratori e delle lavoratrici in sciopero che va da Piazza Cairoli a Piazza San Babila attraversa la città ripetendo una pratica ormai consolidata nel tempo.
Gli spezzoni che lo costituiscono – CUB, SGB, USI – sono colorati, vivaci, combattivi, la piattaforma di sciopero contro la guerra esterna e contro la guerra interna che colpisce i lavoratori è pienamente condivisibile, le persone che partecipano sono, almeno a parere di chi scrive, espressione di un’opposizione sociale vera, seria, radicale nelle proposte e radicata nei posti di lavoro e nella società. Vi è una netta rottura con ogni pratica concertativa e con ogni subalternità al quadro istituzionale.
Tutto bene dunque? Vale forse la pena di ragionare su alcune questioni irrisolte e su alcuni problemi che è bene affrontare con determinazione affinché non incancreniscano.
È opportuno fare un passo indietro partendo da una chiara visione dei fatti. Quello del 4 novembre non era una manifestazione o, quantomeno, non era principalmente una manifestazione, nel qual caso non vi sarebbe stato alcun problema, ma era, appunto una manifestazione in occasione di uno sciopero che come tale va valutato.
Il primo fatto che colpiva era un’assenza, un’assenza, sempre ad avviso di chi scrive, importante. Mancava il SI Cobas che pure era stato una presenza rilevante in occasione dello sciopero del 18 marzo di quest’anno e che ha scioperato assieme ad USB il 21 ottobre.
La cosa parrebbe, a prima vista, singolare. Se si è deciso di scioperare il 4 novembre e non il 21 ottobre, e cioè non nella stessa data dello sciopero indetto da USB e da alcuni sindacati che hanno scelto di stare con USB, è stato, almeno questa è la motivazione “ufficiale”, perché USB, avendo firmato l’accordo sulla rappresentanza del 10 gennaio 2014[1] – un accordo infame – si è posta fuori dal campo del sindacalismo alternativo ed accucciata ai piedi del governo e di CGIL CISL UIL. Ora, il SI Cobas, che vanta una discreta presenza nell’importante settore della logistica, quell’accordo Non lo ha Firmato.
Con ogni evidenza quindi il cartello di soggetti sindacali che ha indetto lo sciopero del 4 novembre ha perso un pezzo ed un pezzo di non poco conto. Il come e il perché ciò sia avvenuto allo scrivente non risulta essere noto e gli è possibile solo fare delle ipotesi. Resta il fatto che indebolire la propria area di riferimento e di interlocuzione non è un gran risultato.
Un secondo assente, un assente ancora più importante,erano i Lavoratori del Trasporto. Come è noto infatti, e certo era ben noto ai fautori dello sciopero del 4 novembre che sono sindacalisti assai navigati, il 4 novembre è uno di quei giorni nei quali le ferrovie, il trasporto aereo, quello urbano ecc… non possono scioperare.
Ora, uno sciopero generale che escluda programmaticamente la presenza dei lavoratori di un settore strategico, di un settore che ha visto nell’ultimo periodo lotte importanti, assume un carattere ben bizzarro. Rinunciare in partenza a uno strumento di pressione rilevante come un blocco dei trasporti sembrerebbe incomprensibile almeno se si ragiona da un punto di vista classista e radicale.
Vi sarebbero altri aspetti singolari di questo sciopero che meriterebbero un approfondimento, basta pensare alla situazione di alcune categorie che, scioperando, rischiavano la doppia trattenuta ecc. ma bastano le due assenze già segnalate a rendere opportuna una riflessione non limitata alla contingenza.
Si tratta, a mio avviso, di non dare per scontati proprio il senso, la natura, la funzione, gli obiettivi di uno sciopero se se ne vuole valutare il successo, l’insuccesso, l’opportunità, l’andamento. Questo, a meno che non si pensi agli scioperi come a pratiche burocratiche che si sbrigano ed accantonano in attesa della prossima.
Evitiamo il linguaggio guerresco che troppo spesso adorna il lessico sindacale, non parliamo di “battaglie”, “scontri” ecc., limitiamoci a rilevare che lo sciopero è un mezzo di pressione volto ad ottenere determinati fini. Tanto per contraddirmi, è un’arma che va usata con criterio, altrimenti ci si fa male da sé.
Quando si tratta di lotte aziendali, categoriali, territoriali, la valutazione di cui parlavo non è necessariamente facile, ma certamente è tanto più facile quanto più l’avversario è vicino, ben definito come ben definiti e verificabili sono gli obiettivi.
Faccio un esempio abbastanza noto di una lotta della quale su queste pagine si è scritto. I lavoratori di Foodora si scontrano con l’azienda perché si oppongono al cottimo integrale e vogliono aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro. Foodora propone di concedere aumenti retributivi, peraltro non spettacolari, mantenendo appieno il lavoro a cottimo. È sin troppo facile in questo, come in mille altri casi, dare una valutazione dell’andamento e degli esiti dello sciopero.
Ma qui parliamo di Sciopero Generale, di uno sciopero che, almeno formalmente, assume come avversari, interlocutori, obiettivo – lascio al lettore la scelta del termine che preferisce – il governo, il padronato, le istituzioni, ad esempio CGIL CISL UIL, ed ha obiettivi appunto, anche se certo parlare dello sciopero generale espropriatore in riferimento a questi “scioperi generali” fa sorridere, Generali.
Ora, è sin troppo evidente che la forza dei sindacati alternativi e la loro capacità di chiamare alla lotta settori larghi della nostra classe ha, diciamo così, dei limiti. Se si aggiunge il fatto che la scelta di USB, che contende alla CUB il ruolo di maggior sindacato alla sinistra di CGIL CISL UIL, di firmare l’accordo infame ha spaccato il fronte, si deve prendere atto che le difficoltà si sono accresciute.
Se è così, e mi pare difficile confutare la fondatezza di questa presa d’atto, è lecita la domanda su chi sono gli interlocutori o avversari e su quali ne siano gli avversari di scioperi come quello del 4 novembre, indetti nonostante le difficoltà ricordate più sopra.
Provo a questo proposito a formulare un’ipotesi che può suonare scandalosa ma che ritengo realistica. Escludiamo alcuni degli scioperi generali del sindacalismo di base che si sono dati nell’ultimo venticinquennio e che effettivamente chiamavano alla mobilitazione contro scelte politiche ed economiche del governo e del padronato settori di lavoratori di molto più ampi di quelli che il sindacalismo di base stesso organizza, gli altri, molti, troppi, altri sembrano rivolgersi esclusivamente, o quasi esclusivamente, alla propria gente al fine di rafforzarne il senso di appartenenza ed all’area immediatamente circostante al fine di definire i rapporti di forza interni all’area stessa. Non a caso scherzando, ma non troppo, si parla di scioperi esistenziali.
Se quanto ipotizzato sinora ha un qualche fondamento, è lecita la domanda se il puntare a rafforzare la propria identità sia, di per sé, sbagliato. La mia risposta, visto che ritengo doveroso darla avendo affrontato l’argomento, è che non è sbagliato di per sé. Qualsiasi aggregato umano costruisce una propria narrazione, propri simboli, un proprio senso di appartenenza: si tratta di vedere quali.
Aggiungo che porre l’accento sul fatto che aderire ad un accordo scellerato al fine di salvaguardare se stessi a danno delle libertà sindacali generali, come ha fatto USB, pone un discrimine netto Nei Fatti e non nelle discussioni sui massimi sistemi fra sindacalismo classista e sindacalismo concertativo È Giusto.
È però mia opinione che usare l’arma dello sciopero a questo unico fine – altri non se ne vedono – sia, nel contempo, dannoso perché comporta uno spreco di risorse e di energie che più utilmente potrebbero essere usate per costruire mobilitazioni reali ed efficaci e diseducativo perché spinge proprio i lavoratori più determinati e combattivi a non concentrarsi sulla questione della forza, sulla capacità di far danno all’avversario e di aggregare lavoratori ma a guardare più alla rappresentazione della lotta che alla lotta stessa.
A chi obiettasse che è necessario sviluppare obiettivi Generali tali da andare oltre la dimensione aziendale, categoriale, territoriale, ritengo si possa rispondere che un sindacato radicale può sviluppare campagne di informazione ed agitazione senza ricorrere per forza allo sciopero, specie se lo sciopero non ha alcun impatto.
Sino a prova contraria, lo si può fare con mille strumenti, dal volantinaggio alla manifestazione, dalle assemblee alla produzione di video ecc..
Proprio sulla questione del discrimine rispetto ai sindacati concertativi e neoconcertativi poi è possibile denunciarne la natura con forza e Nei Fatti se si sta sul terreno della lotta e non su quello della rappresentazione della lotta.
Basta pensare, a questo proposito, all’accordo del settore dell’igiene urbana che comporta secchi danni per i lavoratori. Visto che si è sviluppata una vivace opposizione, visto che è possibile fare uno sciopero Vero, di massa e magari – male non farebbe – vincente, è possibile, a chi non si è piegato[2] all’accordo infame, indire scioperi che i concertativi, perché hanno fatto l’accordo e ne sono responsabili, e i neoconcertativi, come USB, perché appecoratisi, non possono indire.
In quel momento la differenza fra sindacalismo classista e radicale e sindacalismo estremista a parole e subalterno nei fatti sarà evidente a ogni lavoratore coinvolto e sarà relativamente facile chiarire cos’è l’accordo del 10 gennaio 2014 e chi ha scelto di opporsi o di appecorarsi.
Chiudo qui queste considerazioni nella speranza che siano utili al confronto fra le compagne ed i compagni impegnati sul terreno della lotta di classe.
Cosimo Scarinzi
NOTE
[1] È opportuno rammentare che l’accordo del 10 gennaio 2014 firmato da CGIL CISL UIL e che è stato accettato poi dalla Confederazione Cobas, da USB e da altri sindacati minori, prevede che, in cambio della possibilità di partecipare alle elezioni dei delegati aziendali, i sindacati firmatari si impegnino, pena sanzioni pesanti, a non scioperare contro gli accordi sindacali firmati a maggioranza – e sappiamo bene come si costruiscono le maggioranze in queste contingenze.
[2] Quindi non ha potuto presentarsi alle elezioni delle RSU, non ha i diritti sindacali minimi, fa sindacalismo in condizioni difficilissime ma non è vincolato ad accettare gli accordi imposti dai padroni e dai sindacati concertativi.